Aboliamo il termine preistoria!
Bisonti di Altamira, riproduzione nel Museo di Barcellona
Di Marina Medi
Credo che la parola “preistoria” sia conosciuta un po’ da tutti. Infatti è usata molto spesso nei programmi televisivi, come quelli condotti da Alberto Angela, appare sui giornali e nelle riviste, si sente nei dibattiti. Anche per chi è digiuno di storia il termine evoca un’età molto antica in cui i gruppi umani vivevano nelle caverne o sulle palafitte, andavano a caccia di mammut, utilizzavano strumenti di pietra, si vestivano di pelli, dipingevano nelle grotte. L’accordo su questo significato deriva senza dubbio dallo studio scolastico; infatti anche oggi la scuola primaria dedica molto tempo alla presentazione delle età paleolitiche e neolitiche, accompagnandole con immagini, ricostruzioni, plastici, laboratori, visite ai musei ecc. che affascinano e divertono i bambini e facilitano la memorizzazione dei caratteri di quelle civiltà.
Il problema è che ad un certo punto i manuali scolastici, che hanno presentato il sorgere delle civiltà urbane nella Mesopotamia e l’invenzione della scrittura, affermano: “E a questo punto, con la scrittura, finisce la preistoria e comincia la storia.” Così il termine “preistoria” diventa un concetto che riassume sinteticamente tutto il periodo storico precedente.
È evidente che a volte, per facilitare la comunicazione, è necessario utilizzare termini sintetici che non riportano interamente la complessità di un concetto, ed è evidente anche che le parole possono veicolare implicitamente visioni ideologiche e giudizi di valore. La scansione della storia in età antica, medioevale, moderna e contemporanea, per esempio, ha un carattere chiaramente eurocentrico, anzi si riferisce solo alla parte più occidentale dell’Europa e risponde più alla tradizionale divisione delle cattedre accademiche che all’esigenza attuale di comprendere il passato dell’umanità nella sua dimensione planetaria. Eppure continuiamo ad utilizzarla, anche se sarebbe il caso finalmente di metterla in discussione. Infatti, come potremo chiamare l’età che stiamo vivendo, dato che quella “moderna” si riferiva ai secoli XVI-XVIII e quella “contemporanea” è ormai finita negli ultimi decenni del Novecento? Continueremo a chiamarle così, anche se superate da quella presente “digitale” o “informatica”? Forse c’è bisogno di trovare nuovi termini, ma i vecchi sono duri a morire…
Tornando al termine “preistoria”, le ragioni che dovrebbero spingerci a non utilizzarlo più sono almeno due, una di tipo storiografico, l’altra di tipo interculturale.
È chiaro che l’introduzione della scrittura abbia comportato un enorme vantaggio per le culture che l’hanno utilizzata e sia stata uno strumento formidabile per chi in seguito ha voluto studiare il passato. Ma non possiamo dimenticare che per molto tempo la scrittura è stata appannaggio di una stretta minoranza della popolazione e ha riportato informazioni quasi esclusivamente relative al mondo del potere (i nomi dei sovrani e dei loro collaboratori, le divinità invocate per avere successo, i nemici vinti e i bottini ottenuti, i dati sulla produzione e sulle tasse ecc.). Se diciamo che la storia comincia con la scrittura e tutto quanto c’è stato prima è preistoria, evidentemente diamo spazio solo a quelle realtà sociali che della scrittura facevano uso. Ma la rivoluzione storiografica e documentaria del Novecento ha affermato che la storia non è solo quella politico-istituzionale o delle classi superiori e che tutte le manifestazioni degli uomini e delle donne possono essere storicizzati, dall’alimentazione al costume, alla cultura materiale, ai soggetti emarginati nella gerarchia del potere (donne, poveri, stranieri ecc.). Tutto questo è storia, dato che con questo termine vogliamo indicare tutto quanto è stato prodotto dall’attività umana in ogni tempo; non c’è un pre e un post. Ovviamente ogni aspetto studiato avrà le sue fonti e queste solo in certi casi saranno di tipo scritto. Continuare a chiamare “preistoriche” le civiltà paleolitiche e quella neolitiche significa dunque non tener conto del dibattito storiografico che da quasi un secolo ha affermato che non esiste la storia, ma le storie e che per ciascuna di esse è necessario trovare le fonti adatte e costruire una periodizzazione appropriata.
Se poi solo l’utilizzo della scrittura rende una civiltà degna di entrare nella storia, che cosa si potrà dire di quei popoli che non ne hanno mai fatto uso? Gli Incas di ieri e gli Yanomami dell’Amazzonia o i Bakà del Camerun di oggi sono preistorici? Ovviamente non lo diremmo, perché di nuovo usiamo il termine “preistoria” solo all’interno del canone eurocentrico che tiene conto solo del passato del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Ma in ogni caso il termine comporta un implicito giudizio di valore per cui i popoli senza scrittura sono un po’ “primitivi”. Invece ogni civiltà è complessa e deve essere letta nel rapporto con l‘ambiente in cui vive e nell’intreccio tra i beni che produce e scambia, il modo in cui è organizzata la società ed è distribuito il potere, le diverse forme della sua produzione culturale.
Se possibile, dunque, aboliamo il termine “preistoria” dal nostro vocabolario! Quando ci riferiamo a un antico passato, parliamo piuttosto di età paleolitica o età neolitica. Sarà un po’ più lungo, ma sicuramente più corretto.
Se poi vogliamo presentare il modo in cui i gruppi umani si sono organizzati nella storia, utilizziamo i modelli di civiltà: quella di caccia pesca e raccolta, quella agricola di villaggio, quella di allevamento nomade. In questo modo sarà anche più facile comprendere come ciascun modello, dominante per un certo tempo su tutto il pianeta o su gran parte di esso, è poi stato spinto alla periferia da un modello successivo (imperiale, urbano-commerciale, industriale ecc.) senza però sparire del tutto neanche oggi.
Per descrivere ciascun modello e coglierne la complessità, può essere utile seguire questo schema:
- Descrizione del quadro di civiltà (ambiente, economia, politica, organizzazione sociale, cultura);
- Tipi di incontri e di scontri avuti con altri gruppi umani o altre società;
- Eredità e tracce arrivate fino a noi;
In ogni caso smettiamo di parlare di preistoria o protostoria. Il passato dell’umanità è unico e se tentiamo di fare qualche suddivisione temporale al suo interno dobbiamo essere espliciti sui criteri che ci hanno guidato e consapevoli degli inevitabili limiti che questa scelta comporta.
12 Dicembre 2022