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La collezione di quadri della famiglia Oggioni

di Matteo Proverbio

Introduzione

L’approfondimento relativo alla collezione di quadri appartenuta alla famiglia Oggioni è avvenuto durante l’intervento di restauro condotto sul dipinto “Ignoto Uno degli affreschi di Bologna – bozzetto”, di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Brera e conservato presso Palazzo Cusani a Milano. Lo studio dell’opera, della famiglia Oggioni e della sua collezione di opere d’arte è stato possibile grazie alle significative informazioni rinvenute sul retro del dipinto in questione, relativamente alle diverse scritte ed etichette cartacee. Tali informazioni sono state acquisite e approfondite in seguito alla consultazione di molteplici documenti presso alcuni archivi: l’Archivio Storico dell’Accademia di Brera, l’Archivio di Palazzo Cusani, l’Archivio storico civico del Comune di Monza, l’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana del Castello Sforzesco e l’Archivio di Stato di Milano.

1. L’opera e il suo contesto

L’opera restaurata dal titolo “Ignoto Uno degli affreschi di Bologna – bozzetto” è un dipinto ad olio su carta incollato su tavola, di autore ignoto. Essa si trova inserita all’interno di una cornice in legno dorata, un’evoluzione del tipo “a cassetta”, costituita da modanature semplici e da decorazioni stilizzate. L’opera misura 26 cm x 38 cm, con cornice 35 cm x 47 cm.

Sul retro della tavola, l’etichetta cartacea posta in alto a sinistra, con il numero di inventario “N.290”, mostra l’iscrizione “Ignoto Uno degli affreschi di Bologna (bozzetto)”, mentre quella in basso più moderna riporta il numero di inventario “N.295” e la dicitura “Ignoto = Uno degli affreschi di Bologna = Bozzetto, cm 38 x 26 £ 40.000”. Sul retro della cornice è visibile una scritta a matita, riportante la seguente frase: “Abbozzo d’uno dei quattro affreschi esistenti di Bologna E d’autore classico”. Queste informazioni hanno permesso di desumere che si tratta dunque di un bozzetto preparatorio, compatibilmente con le sue ridotte dimensioni e con i suoi materiali costituenti, realizzato da un artista ignoto per uno degli affreschi di Bologna. L’indagine sull’opera, volta a raccogliere ulteriori informazioni, ha coinvolto diversi approcci, tra cui lo studio di testi storico-artistici, la ricerca archivistica e l’esplorazione di specifici edifici storici del centro di Bologna. Tuttavia, non essendo stato possibile rintracciare l’affresco originale né identificare corrispondenze con il dipinto in questione, le informazioni derivanti dallo studio dei materiali durante il restauro e soprattutto la consultazione di numerosi testi storico-artistici, che hanno permesso di formulare diverse supposizioni su potenziali autori collegabili al dipinto in questione da un punto di vista prettamente tecnico-stilistico, hanno permesso di collocare l’opera all’interno di un determinato periodo storico e ambiente artistico. La figura femminile rappresentata nel dipinto sembrerebbe filtrare tipica cultura correggesca, soprattutto nella tipologia del volto, differenziandosi dagli ideali classici degli artisti del Cinquecento per via di una tecnica pittorica eseguita sul bozzetto basata sull’alternanza di pennellate piuttosto diluite rispetto a pennellate più materiche, volte ad enfatizzare i vari dettagli della composizione. Questi aspetti hanno indirizzato l’attenzione nei confronti di alcuni specifici artisti, come Giuseppe Maria Crespi e Carlo Cignani, i quali sembrerebbero particolarmente affini al dipinto in esame, estendendo tale ipotesi anche agli allievi di questi due grandi maestri o ad artisti che, ispirandosi alla loro tecnica e al loro stile, potrebbero aver assimilato e reinterpretato i caratteri distintivi delle loro opere.

L’analisi del dipinto, condotta principalmente attraverso confronti con opere di artisti noti, ha permesso di ipotizzarne la realizzazione in un periodo storico riconducibile al XVII secolo, o comunque a cavallo tra le correnti artistiche del classicismo seicentesco e del barocco bolognese, in linea con le indicazioni riportate sul retro del dipinto. Nonostante le varie considerazioni non abbiano consentito di giungere a un’identificazione certa della storia dell’opera, esse hanno comunque contribuito a delineare un contesto plausibile e coerente sulla base delle analisi condotte. Gli artisti esaminati rappresentano dunque una possibile selezione, lasciando aperta la strada ad ulteriori approfondimenti e nuove ipotesi per futuri sviluppi.

2. Dalla collezione della famiglia Oggioni all’Accademia di Brera: le vicende dell’opera

L’etichetta cartacea posta centralmente in diagonale sul retro della tavola riporta il nome del collezionista a cui l’opera apparteneva in precedenza, ossia Ferdinando Oggioni. Grazie ad essa è stato possibile ricostruire parzialmente l’albero genealogico della famiglia Oggioni, riscoprendo le vicende che hanno coinvolto l’opera, ossia dal passaggio dagli Oggioni all’Accademia di Belle Arti di Brera, fino alla sua collocazione definitiva presso Palazzo Cusani.

Ferdinando Oggioni (Milano, 13 dicembre 1846 – Milano, 30 aprile 1901) fu l’unico della famiglia che, attraverso il testamento del 24 aprile 1898, portò avanti l’interesse del suo prozio Cav. Pietro Oggioni (Monza, 22 febbraio 1779 – ? 1855) nei confronti dell’Accademia di Brera, donando a quest’ultima la sua intera collezione di quadri al fine di arricchire ulteriormente la “Galleria Oggioni” a quel tempo ancora esistente in Pinacoteca a Brera. Con il termine “Galleria Oggioni” si indicava uno spazio della Pinacoteca di Brera dedicato all’esposizione delle opere d’arte donate nel 1855 dal Cav. Pietro Oggioni. Il 6 aprile 1902, l’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III, esaminate le disposizioni testamentarie di Ferdinando Oggioni che nominavano l’Accademia di Brera erede del patrimonio lasciato dal testatore, approvò, su parere del Consiglio di Stato e su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, un decreto che autorizzava l’Accademia ad accettare tale eredità. Da quell’anno la collezione di quadri appartenuta a Ferdinando, e con ogni probabilità anche l’opera in questione, fu trasferita a Brera. Tuttavia, non è stato possibile trovare un documento che certifichi con precisione le opere trasferite, inclusa quella oggetto di analisi.

Le prime informazioni documentate sul dipinto in esame si trovano in tre registri dell’Accademia di Brera. Nel primo, datato marzo 1943, l’opera è riportata in un lungo elenco di dipinti con “N. 290”, corrispondente al numero indicato sull’etichetta cartacea posizionata sul retro della tavola in alto a sinistra. Secondo quanto riportato in tale registro, il dipinto si trovava in magazzino a Brera, insieme ad altri quadri, a differenza di alcune opere del lascito Oggioni conservate invece nei depositi della Pinacoteca. Nel secondo registro, datato 1° luglio 1947, l’opera è elencata con “N. 295”, corrispondente al numero indicato sull’etichetta cartacea moderna posizionata in basso sul retro della tavola. Come riportato in tale registro il dipinto “Ignoto Uno degli affreschi di Bologna – bozzetto” fu acquisito il 2 luglio 1955 dal Circolo Unificato dell’Esercito di Milano (Circolo Ufficiali di Palazzo Cusani). L’opera compare nelle annotazioni del terzo registro, datato 1° febbraio 1978; la sua registrazione a Brera in quella data, nonostante fosse già stato acquisito dal Circolo Ufficiali di Milano, indica che l’opera potrebbe essere stata temporaneamente restituita all’Accademia. Eppure, il motivo di tale ritorno rimane incerto e potrebbe essere attribuibile a diverse ragioni, come nel caso di un possibile intervento di restauro condotto sul dipinto. Successivamente l’opera venne restituita a Palazzo Cusani, salvo possibili ulteriori spostamenti successivi al 1978, per i quali, tuttavia, non è stata trovata alcuna documentazione.

3. La famiglia Oggioni

La famiglia Oggioni era una famiglia benestante che si era stabilita principalmente a Milano, Monza e nelle aree circostanti, mantenendo anche alcune residenze al di fuori della Lombardia. Nelle famiglie nobili, così anche per gli Oggioni, la ripetizione dei nomi risultava essere una pratica comune, particolarmente diffusa in un periodo storico come quello ottocentesco e novecentesco. Tale prassi avveniva per ragioni culturali, sociali e pratiche: anzitutto la ripetizione dei nomi rappresentava una forma tradizionale di continuità, i nomi venivano tramandati di generazione in generazione come parte dell’identità e della storia famigliare, inoltre, dare ai bambini i nomi dei nonni, degli zii o di altri parenti defunti, risultava un modo per onorare e mantenere in vita la memoria degli antenati, rafforzando così il legame tra le varie discendenze.

La ricostruzione parziale dell’albero genealogico della famiglia Oggioni parte da Fermo Oggioni, che, dal matrimonio con Teresa Caglio, ebbe due figli maschi, Pietro e Ferdinando.

Pietro, nato a Monza il 22 febbraio 1779, Cavaliere dell’ordine di S. Michele di Baviera e ingegnere, fu un importante collezionista e mercante d’arte. Dai documenti parrebbe essere stato un uomo dalle grandi relazioni internazionali, al quale il fervente culto per l’arte permise di allacciare stretti rapporti di amicizia con alcuni tra i più noti artisti del suo tempo. A testimonianza di ciò si possono citare due lettere indirizzate allo scultore danese Bertel Thorvaldsen, datate rispettivamente 1832 e 1833[1]. Pietro Oggioni viene riconosciuto principalmente per il suo generoso lascito a favore dell’Accademia di Brera, attraverso il suo testamento del 5 agosto 1848, pubblicato il 12 gennaio 1855 davanti all’I.R. Tribunale di Milano. Questo lascito riguardava la cosiddetta “Istituzione Oggioni”, gestita dalla stessa Accademia e articolata in due punti principali: la “Pensione Oggioni” e la “Galleria Oggioni”. Con il termine “Pensione Oggioni” si intendeva l’assegnazione di borse di studio rivolte a studenti giudicati meritevoli, affinché potessero perfezionarsi a Roma nelle discipline di pittura, scultura o architettura. Per l’assegnazione della borsa di studio veniva istituito un concorso, che fu ripetuto fino ai primi decenni del Novecento, come attestato dai manifesti di avviso. Il primo bando è datato: 6 maggio 1857. Questa iniziativa ebbe un impatto significativo, favorendo la crescita di numerosi artisti del panorama italiano, tra i quali il pittore Giovanni Battista Todeschini, il pittore Carlo Stragliati, lo scultore Michele Vedani, l’architetto Eugenio Muzio e tanti altri. Con il termine “Galleria Oggioni” si intendeva, invece, uno spazio della Pinacoteca di Brera destinato all’esposizione della collezione di quadri donata da Pietro. Dai documenti rinvenuti sembra che il Cav. Pietro Oggioni non avesse né moglie né figli. Come molti benestanti dell’epoca che morivano senza discendenti diretti, Pietro decise di destinare una parte rilevante del suo patrimonio a un’istituzione pubblica, quale l’Accademia di Brera. In sua memoria, l’Accademia, riconoscente, eresse un busto scultoreo, in marmo o in bronzo a seconda delle fonti storiche. Esso fu realizzato da Cesare Iannucci nel 1871 e fu collocato all’interno del portico di Brera sul lato destro dove oggi non è più possibile vederlo. Dai documenti non è emersa una data di morte esatta del Cav. Pietro Oggioni; tuttavia, la pubblicazione del suo testamento, avvenuta il 12 gennaio 1855, fa supporre che sia deceduto poco tempo prima di tale data.

Proseguendo con l’albero genealogico famigliare, Ferdinando Oggioni, fratello di Pietro, dal matrimonio con Giovanna Sassi, entrambi domiciliati a Monza, ebbe quattro figli: due femmine, Enrichetta e Antonia, e due maschi, Vincenzo e Fermo Oggioni. Quest’ultimo, nato a Monza il 14 settembre 1807 e morto a Milano il 25 aprile 1867, lavorò come commesso di studio ed ebbe due mogli: la prima fu Giuseppa Mancini, da cui ebbe il suo unico figlio Pietro, nato a Milano il 17 marzo 1838, mentre la seconda fu Giuditta Baciocchi, da cui però non ebbe alcun discendente.

Il secondogenito maschio, Vincenzo Oggioni, nato a Monza il 16 ottobre 1814 e morto a Giubiano (Castellanza), in provincia di Varese, il 28 giugno 1892, di professione commerciante, dal matrimonio con Maria Orsola Buol ebbe tre figli. Il primogenito fu Ferdinando, che nacque a Milano il 10 dicembre 1842 e morì l’anno seguente, il secondogenito fu Ferdinando Fermo, che nacque a Milano il 13 dicembre 1846 e morì il 30 aprile 1901 sempre nella stessa città, e il terzo figlio fu Fermo, che nacque anch’egli a Milano il 6 luglio 1848 e morì giovanissimo nel 1862, alla sola età di quattordici anni. Vincenzo, già vedovo al momento della stesura del suo testamento olografo in data 6 aprile 1889, lasciò in eredità tutti i suoi beni mobili e immobili all’unico figlio rimastogli, Ferdinando. Il testamento fu successivamente pubblicato presso la Pretura del Mandamento IV di Milano e depositato negli atti del Notaio Dott. Augusto Pozzo il 5 luglio 1892, con Istromento n. 38932 = 5786 di Repertorio.

Ferdinando Oggioni (Milano, 13 dicembre 1846 – Milano, 30 aprile 1901), come attestato dai documenti, fu l’unico che si rese partecipe delle scelte prese dal suo prozio Cav. Pietro Oggioni (Monza, 22 febbraio 1779 – 1855), portando avanti l’interesse che quest’ultimo aveva avuto per l’Accademia di Brera, in relazione con l’istituzione disposta proprio dal suo prozio. Con il suo testamento del 24 aprile 1898, depositato e pubblicato dal Notaio Dott. Cesare Casoretti di Milano il 3 maggio 1901, con Istromento n. 4824, Ferdinando Oggioni decise di destinare la sua intera collezione di quadri all’Accademia di Brera, vista anche la morte prematura della moglie Clementina Riboldi, al fine di arricchire ulteriormente la “Galleria Oggioni”, ancora esistente quando egli era in vita. Tuttavia, nell’anno della sua morte ci fu un periodo di cambiamenti per la Pinacoteca di Brera: infatti, le nuove disposizioni introdotte dal Direttore Corrado Ricci portarono allo scioglimento della “Galleria Oggioni”.

4. La Galleria Oggioni e le opere rimanenti

Fin dalla sua fondazione nel 1776, la Pinacoteca di Brera si arricchì di moltissime opere che entrarono progressivamente a far parte delle sue collezioni. Dipinti, statue, oggetti d’arte arrivarono nelle sale del museo attraverso diversi canali: scambi con altre istituzioni (gallerie e musei), acquisti vari, confische napoleoniche e molteplici donazioni e lasciti da parte di benefattori e artisti.

Uno dei più significativi e consistenti lasciti pervenne proprio dal testamento del Cav. Pietro Oggioni. Infatti, nel 1855 la Pinacoteca di Brera accolse ben settantasei dipinti di pregio all’interno della sala F, mentre le copie di poco valore, di cui non è disponibile un elenco dettagliato, furono collocate all’interno della sala G, affiancata a quella precedente. Alcuni dei settantasei dipinti della “Galleria Oggioni” furono realizzati da importanti e rinomati artisti della storia dell’arte, tra i quali Carlo e Vittore Crivelli, Francesco Guardi, Bernardino Luini, Lorenzo Lotto e Tiepolo. Oltre a questi, vi erano numerosi altri dipinti provenienti da diverse scuole artistiche, tra cui la scuola lombarda, veneziana, bolognese, toscana, umbra e fiamminga. A tale proposito, esiste un elenco, originariamente scritto a mano e successivamente trascritto a macchina, in cui furono classificati tutti questi dipinti, divisi per autore, titolo e tecnica realizzativa. Questo elenco fu successivamente riportato anche all’interno dei vari cataloghi della Pinacoteca di Brera, con delle modifiche apportate nel corso degli anni ai titoli delle varie opere. Inoltre, grazie a studi successivi, alcuni dipinti inizialmente considerati di autore ignoto ricevettero nuove attribuzioni.

Considerando unicamente le opere ancora presenti in Pinacoteca a Brera, è stato possibile verificare quali fra queste possano corrispondere con quelle dell’elenco originale, istituendone così un confronto.

Il primo quadro realizzato da Carlo Crivelli e originariamente intitolato La Madonna ed il Signore assisi in trono, gloria di Angeli, molti santi, viene descritto al giorno d’oggi come un’opera dipinta ad olio e tempera su tavola, datata 1493 e dall’attuale titolo Incoronazione della Vergine con la Trinità e santi.

Il dipinto ad olio su tela dal titolo San Giovannino, datato intorno al 1620 – 1625 e attribuito a Bernardo Strozzi, non corrisponderebbe, invece, esattamente a nessuno dei quadri presenti nell’elenco originale. Fra tutti, però, quello che maggiormente si avvicina a tale descrizione potrebbe essere quello indicato al numero dodici di tale catalogo, un dipinto su tavola di Scuola Lombarda del XV secolo, intitolato Ritratto di giovane.

Le due opere denominate Assunzione di Maria e San Sebastiano tra i Santi Domenico e Antonio abate, entrambe realizzate a tempera su tavola e attribuite al pittore Francesco di Gentile, e datate intorno al 1480 – 1490, costituivano un tempo le due facce di uno stendardo processionale. Esse corrisponderebbero, probabilmente, alle due tavole indicate ai numeri sette e tredici dell’elenco in questione, descritte come opere di Scuola Giottesca e intitolate rispettivamente La Madonna circondata da un coro di Angeli, sopra mezza figura del Padre Eterno in atto di benedire e S. Sebastiano legato alla colonna, due Angeli, S. Antonio e S. Domenico.

La tavola dal titolo Madonna col Bambino in una mandorla di cherubini, attribuita all’ambito di Perugino intorno al 1475, viene descritta nel catalogo originale al progressivo numero quindici, intitolata Madonna col Putto e cherubini. Invece, l’altra tavola al numero sedici di tale elenco, originariamente intitolata Ascensione di Maria Vergine è stata attribuita in tempi recenti al pittore Lorenzo Lotto, datata 1512 e è stata rititolata Assunzione della Vergine.

Un’altra opera attribuita anch’essa a Lorenzo Lotto è quella realizzata dall’artista durante il quinto decennio del XVI secolo, dal titolo Ritratto di Gentiluomo, che potrebbe corrispondere, visto anche lo stesso periodo di esecuzione, con l’opera di scuola veneziana intitolata Ritratto d’uomo, presente invece al numero sessantasette.

Il dipinto su tavola, attualmente trasposto su tela, dal titolo San Francesco d’Assisi, datato intorno al 1545 e attribuito a Bernardino Lanino, non sembrerebbe corrispondere ad altri dipinti del lascito Oggioni rappresentanti la figura di San Francesco, a causa di una descrizione differente di tali opere rispetto a quella in questione. Piuttosto parrebbe somigliare maggiormente alla scena del quadro intitolato S. Antonio in atto di adorare il Crocefisso, corrispondente al numero diciotto di tale catalogo.

I quadri denominati Santa Cecilia tra i Santi Tiburzio e Valeriano e Disputa di Santa Cecilia, eseguiti dal pittore Antiveduto Gramatica e datati intorno al 1610 – 1620, sono due tondi realizzati ad olio su tavola. Confrontandoli con le opere dell’elenco originario, ai progressivi numeri ventitré e ventotto, essi potrebbero corrispondere ai due dipinti di scuola bolognese, entrambi intitolati Tondo con tre mezze figure, che sembrano coincidere con le raffigurazioni dei quadri in questione. L’unica differenza risiede nel fatto che questi ultimi furono catalogati come dipinti su tela, ma potrebbe trattarsi di un banale errore di trascrizione.

Le tre opere di scuola fiamminga, dai titoli L’Andata al Calvario, La ninfa Siringa inseguita da dio Pane e Lazzaro e il ricco Epulone, rispettivamente ai numeri trentasette, quaranta e cinquantotto dell’elenco di riferimento, corrisponderebbero al dipinto su tela Andata al Calvario, datato intorno al 1542 – 1548, e attualmente attribuito a Lambert Sustris, al dipinto su tavola Pan e Siringa, datato nel 1617 e attualmente attribuito a Jean Brueghel il Vecchio, e al dipinto su tavola Lazzaro e il ricco Epulone, datato intorno al 1630 – 1640 e attualmente attribuito a Nicolaus Knüpfer. A parte l’ultima opera, per le prime due, l’unica differenza tra la catalogazione iniziale e la targhetta descrittiva attuale risiederebbe nella tecnica realizzativa. Infatti, la prima opera, inizialmente indicata come dipinta su tavola, viene attualmente descritta come dipinta su tela, mentre la seconda, inizialmente indicata come dipinta su rame, viene oggigiorno descritta come dipinta su tavola. Tuttavia, vista la loro corrispondenza nei titoli e nelle attribuzioni artistiche, si può pensare ad un errore di trascrizione riguardante proprio il supporto adottato per la realizzazione dei due quadri.

Le due opere dal titolo Veduta del Canal Grande con le fabbriche nuove di Rialto e Veduta del Canal Grande verso Rialto con Palazzo Grimani e Palazzo Manin sono due dipinti ad olio su tela realizzati tra il 1756 e il 1760 da Francesco Guardi. Essi furono catalogati nell’elenco originale con i titoli di Veduta del Canal Grande in Venezia e Veduta del Canal Grande in Venezia e del Ponte di Rialto, rispettivamente ai numeri sessantanove e settantadue.

Il dipinto Bozzetto rappresentante una delle Battaglie date dai Veneziani contro i Turchi, con un’apparizione celeste corrisponderebbe all’attuale opera rinominata Santi Faustino e Giovita appaiono in difesa di Brescia assaltata da Nicola Piccinino nel 1438, datata 1754 – 1755. Nell’elenco originario, registrato al numero settanta, il quadro fu inizialmente attribuito a Giovanni Battista Tiepolo, come indicato nella targhetta metallica inchiodata in basso al dipinto. Invece, è probabile che sia stato realizzato dal figlio, nonché allievo, Giandomenico, come è attestato da studi successivi sul bozzetto stesso.

Infine, l’ultimo dipinto, dal titolo Autoritratto in veste di Chimico o Alchimista, realizzato da Luca Giordano intorno al 1660, corrisponderebbe all’opera precedentemente denominata Ritratto d’un Alchimista, presente al numero settantatré nella catalogazione originale.

L’elenco dei settantasei quadri donati dal Cav. Pietro Oggioni è riportato nell’allegato (file .pdf)

5. Le vicende burocratiche riguardanti la Galleria Oggioni

I settantasei quadri collocati nell’apposito spazio denominato “Galleria Oggioni” rimasero raccolti assieme fino al 1901. In quell’anno, precisamente il 1° gennaio, il Senatore Corrado Ricci, allora Direttore della Pinacoteca di Brera, dovendo procedere al riordinamento di quest’ultima, seguendo i più moderni criteri basati sulla divisione delle opere a seconda dell’epoca, della scuola e del soggetto rappresentato, scrisse al Comune di Monza per ottenere l’approvazione per una nuova distribuzione delle opere donate dall’Oggioni nelle varie sale espositive.

Il Consiglio Comunale di Monza, nella seduta del 12 Marzo 1901, dichiarò il proprio consenso a favore del proposto nuovo ordinamento della Galleria, ma solamente in via provvisoria, ed a condizione che sotto ogni dipinto fosse posta una targa che ne indicasse la provenienza. Tale deliberazione fu comunicata alla Pinacoteca di Brera con la lettera del 28 Marzo 1901, e con la lettera del 6 aprile dello stesso anno il Senatore Ricci ne prese atto, dichiarando di attenervisi scrupolosamente. In tale modo si ottenne una formula studiata per conciliare i diritti derivanti dalla volontà del testatore con le esigenze di un grande istituto artistico come quello di Brera.

Diversi anni dopo il riordinamento dei quadri nella Pinacoteca di Brera, l’amministrazione comunale di Monza riaprì la questione della “Raccolta Oggioni”. Non sapendo se la stessa Pinacoteca fosse tornata all’osservanza delle disposizioni testamentarie del Cav. Pietro Oggioni, il 26 maggio 1923 la Giunta Comunale adottò una delibera. In essa, dopo aver preso atto della lettera inviata dall’assessore alla Pubblica Istruzione alla Pinacoteca per ottenere chiarimenti, approvava ogni azione necessaria a garantire il rispetto delle volontà del defunto al fine di rivendicare i diritti del Comune sulla raccolta.

La risposta della Pinacoteca di Brera giunse il 29 maggio 1923, con una lettera in cui si comunicava l’intenzione di mantenere l’ordinamento della “Raccolta Oggioni” secondo i criteri stabiliti dal Senatore Corrado Ricci nel 1901. La Pinacoteca giustificava tale scelta facendo leva sul consenso provvisorio espresso all’epoca dal Comune di Monza, sostenendo che tale sistemazione permetteva di conciliare i diritti derivanti dalle disposizioni testamentarie con le esigenze della Pinacoteca stessa. Ritenendo poco convincente questa motivazione e considerandola una violazione delle volontà testamentarie del Cav. Pietro Oggioni, il 2 giugno 1923 la Giunta Comunale adottò una nuova delibera che autorizzava l’assessore alla Pubblica Istruzione a intraprendere tutte le azioni necessarie per far rispettare le volontà testamentarie del defunto, ribadendo con fermezza le rivendicazioni del Comune nei confronti della Pinacoteca stessa.

Di fronte alla mancanza di volontà della Pinacoteca di Brera nel ritornare al vecchio ordinamento, la Giunta Comunale, con una deliberazione del 23 giugno 1923, decise di interpellare l’avvocato Edmondo Stella di Milano per ottenere un parere in merito alla questione. L’obbiettivo era quello di valutare se fosse necessario intraprendere un’azione legale contro la Pinacoteca per tutelare i diritti del Comune e far rispettare le disposizioni testamentarie.

Il 17 agosto 1923, l’avvocato Edmondo Stella inviò una lettera al Sindaco di Monza esprimendo il suo parere sulla questione. Nella prima parte del documento, l’avvocato sostenne le ragioni del Comune di Monza, sottolineando che la volontà del testatore continuava a essere violata, circostanza di cui anche la Pinacoteca di Brera era consapevole, dato che nel 1901 aveva essa stessa richiesto un permesso per il nuovo ordinamento delle opere del lascito Oggioni. Tuttavia, nella parte centrale della lettera, Stella riconosceva che l’interpretazione della Pinacoteca alla deliberazione consigliare del 28 marzo 1901 non era del tutto arbitraria né priva di fondamento. Infatti, tale documento non fissava un termine specifico per la disposizione provvisoria delle opere, lasciando intendere che la Pinacoteca avrebbe potuto continuare a seguire i criteri moderni introdotti da Corrado Ricci fino all’eventuale ripristino dell’ordinamento originale. Nella parte conclusiva, l’avvocato precisava che il Comune di Monza disponeva comunque di motivazioni solide e giustificazioni fondate per richiedere l’osservanza delle disposizioni testamentarie del Cav. Pietro Oggioni e suggeriva di procedere con un atto di costituzione in mora nei confronti della Pinacoteca per fissare un termine entro il quale si sarebbe dovuto ristabilire il rispetto della volontà del testatore.

Il 3 dicembre 1923 l’Avvocato Vincenzo Cardelli, con studio legale in Piazza Garibaldi 3 a Monza, rispose con lettera scritta al Commissario Prefettizio del Comune di Monza sulla questione del legato Oggioni. Nella sua comunicazione, Cardelli confermò le conclusioni già espresse dall’avvocato Stella, ma avvertì il Comune sui rischi connessi a un’eventuale azione legale contro la Pinacoteca di Brera. Infatti, in caso di sentenza favorevole, lo stesso comune sarebbe stato autorizzato a prendere in carico i quadri facenti parte dell’eredità Oggioni, a patto che fosse in grado di disporli in un luogo ritenuto degno e idoneo alla loro tutela e conservazione. Se, viceversa, non si fossero rispettate tali condizioni, il giudice avrebbe potuto ribaltare il suo verdetto in favore della Pinacoteca di Brera, consentendole di continuare con la disposizione voluta dal Senatore Ricci.

Con quest’ultima comunicazione si interrompe, per quanto ne sappiamo, tutta la vicenda relativa all’ordinamento della “Raccolta Oggioni” e eventuali provvedimenti a livello giuridico che interessarono il Comune di Monza. Infatti, non è stato possibile rinvenire ulteriore documentazione a riguardo.

Attualmente alcune opere di quella che un tempo veniva chiamata “Galleria Oggioni” sono esposte separatamente nelle sale della Pinacoteca di Brera. Dunque, a quanto pare, non si risolse nulla in merito al ripristino di una raccolta unita di quadri come lo stesso Pietro Oggioni aveva disposto nel suo testamento. Dei settantasei dipinti donati, solamente alcuni vengono esposti, in un numero variabile, e, in particolare, alcuni di questi non rimangono perennemente in mostra, ma si alternano con altri che, a turno, restano nei depositi. Attraverso ripetute visite all’interno della stessa Pinacoteca, è stato possibile constatare una certa regolarità nella rotazione dei dipinti che restano esposti per qualche mese nelle varie sale.

Bisogna in ogni caso sottolineare che, rispetto al numero totale (76) delle opere accettate come eredità di Pietro Oggioni nel 1855 e precisamente catalogate, solamente una piccola parte sembrerebbe oggi essere ospitata nella Pinacoteca di Brera tra le opere esposte e/o nei depositi. Infatti, abbiamo potuto contare dodici opere esposte fisicamente nei vari ambienti, più altre cinque visibili sul sito internet, per un totale di 17 opere. Dove sono finiti gli altri 59 dipinti della collezione Oggioni? Secondo la testimonianza di qualche addetto ai lavori, alcuni dipinti della collezione Oggioni potrebbero essere stati collocati nel Palazzo dell’Arcivescovado di Milano.
E qui ci fermiamo, perché l’Arcivescovado, pur interpellato con specifica richiesta, non ha fatto pervenire alcuna risposta.

Conclusioni

L’etichetta cartacea posta centralmente sul retro del dipinto “Ignoto Uno degli affreschi di Bologna – bozzetto”, con la dicitura “Legato Ferdinando Oggioni”, ha reso possibile una ricostruzione parziale dell’albero genealogico della famiglia Oggioni e un approfondimento sui quadri donati dal Cav. Pietro Oggioni e da suo pronipote Ferdinando. Entrambi sono stati centrali in questo studio, per via dei loro significativi lasciti all’Accademia di Brera, considerati tra i più cospicui e rilevanti doni privati mai ricevuti dall’istituzione. La consultazione dei numerosi faldoni e documenti presso i vari archivi ha permesso di risalire ad un elenco completo delle opere donate dal Cav. Pietro Oggioni, almeno per quanto riguarda i quadri più importanti che un tempo costituivano la sala F. Non è stato possibile, invece, rintracciare un elenco delle opere esposte un tempo nella sala G. Lo stesso vale per le donazioni di Ferdinando Oggioni, per le quali non è stato possibile consultare un inventario completo. Dei settantasei quadri donati dal Cav. Pietro Oggioni, solo una minima parte, come si è documentato poco sopra, per un totale di 17 opere, è attualmente presente in Pinacoteca a Brera, esposta o collocata nei depositi. Esattamente le opere che sono state oggetto di analisi in questo approfondimento. Resta dunque un’importante sfida futura quella di rintracciare, laddove possibile, tutti i dipinti inclusi nell’elenco originale a noi pervenuto.

A mio avviso e per concludere, questo studio ha permesso di gettare nuova luce su temi poco esplorati, evidenziando l’importanza della ricerca nel riportare alla memoria collettiva aspetti del passato che rischiavano di essere dimenticati. L’indagine condotta dimostra quanto sia fondamentale continuare a esplorare e studiare con passione la storia, non solo per comprendere meglio il passato, ma anche per arricchire il presente e il futuro.

Un riconoscimento finale va alle persone che hanno facilitato questo studio, in particolare al personale degli archivi, che con grande professionalità, attenzione e disponibilità hanno permesso la consultazione di materiale prezioso per lo sviluppo della ricerca. In questo percorso ho avuto l’occasione di conoscere la dottoressa Silvana Citterio, vicepresidente dell’Associazione IRIS (Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia). La sua passione per la riscoperta della storia passata, unita alla sua dedizione al lavoro, ha arricchito ulteriormente questo progetto, dimostrando quanto il dialogo tra studiosi e appassionati possa essere fondamentale per mantenere viva la memoria del nostro patrimonio culturale.

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4 marzo 2025

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Note sull’autore

Matteo Proverbio è nato il 04 agosto 1998. Dopo essersi diplomato al Liceo Artistico dell’Istituto Superiore Carlo
Dell’Acqua di Legnano, nel 2017, ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, conseguendo la Laurea a novembre 2024, in restauro profilo PFP2 (manufatti dipinti su supporto ligneo e tessile. Manufatti scolpiti in legno. Arredi e strutture lignee. Manufatti in materiali sintetici lavorati, assemblati e/o dipinti).


[1] https://arkivet.thorvaldsensmuseum.dk/documents?recipient=Thorvaldsen%2C+Bertel&sender=Oggioni%2C+Pietro