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Sliman Mansour, “Olive picking”, 1988
Olive Picking, 1988 – Sliman Mansour – WikiArt.org

Introduzione

Portare il mondo a scuola si è sempre proposta di affrontare importanti argomenti che riguardano il mondo in cui viviamo per conoscere lo stato del dibattito su questi temi e poi presentarlo a chi ne può essere interessato. Ci rivolgiamo in particolare agli insegnanti proponendo una scelta di strumenti diversi (non solo documenti storici, ma saggi, testi letterari, articoli, proposte filmiche e artistiche) da utilizzare a seconda delle esigenze emerse nel lavoro in classe: troppo spesso infatti questi problemi sono interessanti per le studentesse e gli studenti, ma difficilmente trovano spazio nella normale progettazione didattica, anche perché mancano materiali adeguati ai tempi della scuola e alle capacità degli studenti.

Da tempo il gruppo di Portare il mondo a scuola aveva in programma di affrontare il conflitto israelo-palestinese. Infatti, anche se dura da più di settanta anni, lo scontro tra Israeliani e Palestinesi ha continuato ad essere drammaticamente nevralgico, non solo per quello che succede in quei territori, ma per la dimensione di politica internazionale che assume e per l’inevitabile coinvolgimento emotivo da parte di ciascuno di noi quando in un conflitto si parla di razzismo, antisemitismo, colonialismo, terrorismo, violazione dei diritti umani ecc. Gli avvenimenti che hanno avuto inizio il 7 ottobre 2023 ci hanno indotto ad affrontare finalmente il tema, potendo anche contare sulla gran mole di stimoli di ricerca suggeriti dagli interventi orali e scritti apparsi in questi terribili mesi da entrambe le parti in conflitto
Il nostro obiettivo è stato quello di cercare di leggere il conflitto nella sua complessa dimensione storica e di presentare interpretazioni che si basino su valide prove documentarie. Infatti, siamo consapevoli che lo scontro tra Israele e Palestina sia difficile da affrontare perché inquinato dall’odio tra i due popoli derivato da decenni di crimini, insulti e violenze da entrambe le parti. Sappiamo anche che, in quanto occidentali, possiamo sentirci in qualche modo in debito verso il popolo ebraico per la lunga e mai veramente finita storia di antisemitismo. Ma questo ha pregiudicato una visione obiettiva del dramma palestinese.

Vogliamo tuttavia sottolineare che il nostro lavoro di ricerca non si è mai posto in una posizione neutrale di fronte alla guerra in corso. Siamo stati infatti guidati dai valori che, come IRIS, vogliamo da sempre sostenere e cioè il rifiuto di razzismo, colonialismo, sessismo, negazione dei diritti umani e utilizzo della violenza come risoluzione dei conflitti. In particolare, per quanto riguarda la Storia, rifiutiamo l’utilizzo mitologico e ideologico del passato, l’uso dello studio storico a scuola come strumento di indottrinamento, la mancanza di una metodologia scientifica nella produzione storiografica.

Abbiamo articolato i risultati del nostro lavoro di ricerca in cinque sezioni:

  1. Palestina, un territorio conteso

Dura da più di un secolo il processo che ha portato un numero sempre crescente di ebrei ad andare a vivere in Palestina, a fondare uno Stato nazionale ebraico e a rivendicare il diritto di insediarsi su tutto il territorio che va dal fiume Giordano al mare Mediterraneo senza tener conto che in quell’area vive da sempre la popolazione palestinese. Questo processo, che si è realizzato grazie alla complicità di potenze occidentali come l’Inghilterra (anche per attenuare il senso di colpa legato alla shoah), è avvenuto con continue forme di sopraffazione e violenza sui palestinesi; per questo da decenni l’intera Palestina è sconvolta

Simboli della Resistenza: Sliman Mansour sull’Occupazione e l’identità palestinese
Sliman Mansour is a Palestinian painter | LatAm ARTE

da rivolte, scontri armati, guerre aperte, azioni terroristiche, una serie infinita di lutti e di negazione dei diritti, senza che nessuna autorità internazionale abbia voluto o saputo trovare una soluzione pacificatrice. Ancora oggi non si vede una fine a un conflitto che sta diventando sempre più cruento e coinvolge anche altri paesi non solo mediorientali.
Non è facile ricostruire la storia di questo conflitto infinito perché molta documentazione è stata a lungo secretata e perché ognuna delle due parti racconta la sua versione di quanto è accaduto. Pur consapevoli di ciò, abbiamo cercato di esporre a grandi linee gli avvenimenti principali e il loro peso all’interno del quadro internazionale.

2. Necessità di una visione critica

In tutte le guerre le ragioni materiali alla base del conflitto sono accompagnate o coperte da ragioni ideali, motivazioni politico-ideologiche, finalità religiose che diventano lo sprone per i combattenti e la giustificazione per l’opinione pubblica. Nel caso del conflitto tra Israeliani e Palestinesi questi elementi sono diventati così importanti da passare in primo piano. Così interpretazioni unilaterali impediscono di cogliere la complessità storica, ideologica e geopolitica del conflitto mentre creano divisioni anche interne nei due paesi, oltre che a livello internazionale.

Ismail Shammout: “Back from olive”
Visualizing the Palestinian Return – the art of Ismail Shammout – In That Howling Infinite

Abbiamo cercato di individuare alcuni di questi punti di contrasto utilizzando fonti storiografiche sia ebraiche, sia palestinesi, nel tentativo di trovare una risposta quanto più possibilmente equidistante ed equilibrata a domande come queste: Esiste un popolo ebraico e ha diritto ad occupare la terra dove ha avuto inizio la sua storia? Quanto il movimento ideologico sionista è la concausa originaria del conflitto? Parlare oggi di genocidio da parte dello Stato di Israele è antisemitismo? I Palestinesi hanno diritto di resistere all’occupazione? Quali sono le ragioni del terrorismo palestinese? C’è speranza di pace se nelle scuole israeliane e in quelle palestinesi si continua ad insegnare una storia opposta e quindi inevitabilmente faziosa?

3. Conflitti, drammi e vissuti nelle rappresentazioni artistiche

Letteratura, cinema, musica (quelle di cui ci occupiamo in questa sezione, ma in generale tutte le forme di arte) contribuiscono in modo potente alla rappresentazione delle società di cui sono espressione.  In molti casi sono state anche “profetiche” anticipando ciò che stava per accadere; in altri sono stati stimoli per mettere in atto processi di consapevolezza e di lotta contro ingiustizia e repressione. Chi detiene un potere illegittimo spesso ha perseguitato gli artisti e le artiste e addirittura li ha condannati a morte. Perché l’arte suo malgrado è “politica” e la sua libertà non di rado diverge dalle propagande ufficiali. Citando solo esempi recenti, è questo il caso del musicista Toomaj Salehi per aver scritto canzoni di protesta durante i movimenti seguiti alla morte di Masha Amini nel 2022, uccisa dalla polizia iraniana per non aver indossato correttamente il velo.  Analoga sorte è toccata in Nigeria (con sospensione della pena dopo le voci di solidarietà, ma sempre minacciato) al musicista Yahaya Sharif Amin autore di canzoni considerate blasfeme da un tribunale islamico. L’artista Ramon Bondarenko è stato arrestato e poi ucciso dalla polizia bielorussa per aver partecipato a una manifestazione contro Lukashenko. Tania Bruguera, nota performer, è stata arrestata tre volte a Cuba.

Malak Mattar: “When peace dies embrace it. It will live again”, 2019
Malak Mattar — Gaza Artist and Survivor – The Markaz Review

Nel 2020 lo State of Artistic Freedom Report di Freemusa ha segnalato più di 700 situazioni in 93 paesi in cui sono stati violati i diritti degli artisti. La censura può assumere molte forme: dal ritiro alla distruzione delle opere, all’esilio, alla diffamazione, alle minacce, alle aggressioni e all’incarcerazione.  Due casi diversi, ma nati da analoga paura di voci libere riguardano due scrittrici di cui abbiamo trattato nella parte letteraria: Adania Shibli, palestinese, alla quale dopo lo scoppio dell’ultimo conflitto è stato negato alla Fiera del libro di Francoforte un premio già riconosciuto e Dorit Rabinyan, israeliana, cui il ministro dell’istruzione ha vietato la circolazione del suo libro Borderlife nelle scuole perché parla dell’amore tra un palestinese e una israeliana. 
Le arti affondano le loro origine nella tradizione culturale e nella storia delle varie società trovando la propria forma peculiare e il proprio linguaggio, contribuendo quindi alla narrazione identitaria. Contemporaneamente però sono aperte per natura al cambiamento e alla complessità, sono sismografo delle mutazioni e dei conflitti del territorio e del mondo, ponti tra passato e futuro.  Pur rappresentando realtà individuali, danno voce ai sentimenti umani comuni (dolore, paura, compassione).

Letteratura e musica sono radicate nella vicenda umana fin dai primordi.  Se pensiamo alle due realtà di cui ci occupiamo in questa ricerca possiamo dire che Bibbia e Corano sono state le fonti primarie di narrazioni durature, anche se, soprattutto per gli arabi, una fiorente letteratura ha preceduto il libro sacro. Gli israeliani hanno la tradizione della musica klezmer propria degli ebrei aschenaziti ma frutto di un “meticciato” di origine greca, turca, bessarabica, rumena e a sua volta contaminata con il jazz.  Anche la musica araba ha una grande tradizione e in tempi recenti si è arricchita dei testi di grandi poeti come Mahamood Darwish per esprimere i sentimenti dei vinti, il dolore per i morti, la nostalgia della terra strappata, la durezza dell’ingiustizia.

Al confronto il cinema è un’arte “recente” ma nel suo carattere multimediale (parole, musica, immagine) e attraverso la distribuzione globale ha una forte influenza sull’immaginario collettivo. Sia in Palestina sia in Israele ha un ruolo significativo. Spesso a parlare della Palestina è stata la cinematografia di altri paesi, compreso Israele. Tuttavia esiste un cinema autoctono che ha dato prove notevoli. The Present del 2020 è stato distribuito da Neflix, Jenin Jenin è stato vietato in Israele e le copie distrutte.  Il cinema israeliano, a partire dai lavori pionieristici di Amos Gitai, ha avuto ampia risonanza (il lungometraggio Lebanon di Shmuel Maaz ha vinto il Leone d’Oro alla 66 Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia) e ha aperto un dibattito politico culturale anche sulle contraddizioni interne al paese (sessualità, condizione femminile, scontro tra laicità e religione). Il film 5 Broken Cameras (2011) è stato girato insieme da Emal Burneat palestinese e da Guy David israeliano.

Sulla possibilità di una funzione delle arti per leggere il presente e immaginare il futuro è imperniato questo capitolo.

4. Negli occhi dell’altro

Sono molti gli elementi che intervengono quando due popoli entrano in contatto. Per esempio, se esiste una convergenza di interessi economici l’incontro è più facile, mentre il conflitto per le risorse può renderlo addirittura impossibile. Al di là delle motivazioni materiali che possono generare conflitti, c’è un elemento determinante, non materiale ma legato all’immaginario, che interviene quando due popoli entrano in relazione ed è costituito dall’insieme di stereotipi che ciascuno ha dell’altro. Fatto di qualche elemento di realtà, ma specialmente di miti, invenzioni, notizie false, accuse incrociate, deformazioni, luoghi comuni, l’insieme di stereotipi su un popolo va alimentandosi negli anni ed è così interiorizzato che può resistere a qualunque ragionamento o dato di esperienza, anche perché spesso il rifiuto dell’altro si concentra su elementi fortemente emozionali come l’alimentazione (mangia-rane contro mangia-crauti e mangia-spaghetti, Tramp che afferma che gli immigrati mangiano i “nostri” cani e gatti), il sesso (vogliono le nostre “donne” per il loro harem), la religione (sono politeisti, bestemmiano Dio, hanno ucciso Cristo).

Khaled Hourani: “Wall Climbing 2”, 2022
Khaled Hourani | Wall Climbing 2 (2022) | Available for Sale | Artsy

Il conflitto tra Israele e Palestina sta scatenando non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo una passione partigiana insensibile a qualunque ragionamento perché è legata proprio all’immaginario collettivo che si ha sull’uno e l’altro popolo, ma anche al senso di colpa per tanti eventi passati e alla presente paura di perdere la propria identità in seguito alle migrazioni internazionali.

In questa sede abbiamo provato a ripercorre il modo in cui in Europa si è formato e sedimentato l’immaginario collettivo sia sugli ebrei sia sui musulmani. Abbiamo provato anche a documentare il modo in cui gli Israeliani vedono i Palestinesi e viceversa utilizzando fumetti e vignette, ma purtroppo il materiale che abbiamo trovato è scarso. Speriamo di ampliarlo in futuro.

5. Schede di lettura

I testi stampati e on-line sul conflitto tra ebrei e palestinesi dalla sua origine ad oggi sono tantissimi e in continua crescita. Tra questi ne abbiamo scelti alcuni in base alla loro importanza e alla loro reperibilità e li abbiamo divisi tra noi con l’impegno di fare per ciascuno una breve sintesi, in modo che il loro contenuto fosse disponibile per tutte. Per questo, le schede non seguono un piano preciso e hanno anche forme redazionali differenti perché scritte da persone diverse. Ma abbiamo trovato questi testi molto interessanti e sono stati una parte del materiale di lavoro che ci è servito per preparare questa ricerca intitolata “Palestina, una terra senza pace”.
Alleghiamo queste schede per chi fosse interessata/o a conoscere una sintesi dei testi che abbiamo utilizzato.

Schede di testi letterari


Bibliografia, sitografia (Marina Medi)

Baha-Boukhari (fumettista palestinese)
OCCUPATION

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25 ottobre 2024